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Dott.ssa Sabrina Giussani
Medico Veterinario Esperto in Medicina del Comportamento Animale,
Diplomato Medico Veterinario Comportamentalista ENVF,
Master In Etologia applicata e Benessere animale,
Medico Veterinario Esperto in IAA,
Segretaria VIVA
sabrinagiussani@yahoo.it
Il cane non è un lupo
Il cane (Canis lupus familiaris) è la prima specie animale addomesticata dagli esseri umani. Ai giorni nostri i dati genetici derivati dallo studio del DNA dei cani e dei lupi hanno dimostrato che tutti i cani derivano dal lupo (Canis lupus L.). La domesticazione è avvenuta ripetutamente dagli inizi e nel corso della storia umana in diverse aree geografiche. I reperti fossili hanno stabilito che il processo è avvenuto dai 33.000 ai 12.000 anni fa: a Oberkassel in Germania è stato ritrovato un teschio di un cane datato con il metodo del carbonio 12.000 anni fa circa e in una caverna della Siberia un altro datato sempre con il metodo del carbonio da 14.000 a 33.000 anni fa circa. Le ricerche genetico-molecolari che si basano sullo studio del DNA mitocondriale, invece, spostano all’indietro l’epoca di domesticazione tra 135.000 e 76.000. Gli studi realizzati non hanno però fatto chiarezza sulle dinamiche dell’incontro: è stato l’uomo ad avvicinarsi al lupo o viceversa? Il semplice incontro, inoltre, non è sufficiente per spiegare la domesticazione del cane: è necessario che si realizzi un processo di adozione per costruire una relazione! Il contributo del cane è stato fondamentale: insieme all’introduzione dell’arco ha reso più proficua la caccia, ha reso possibile addomesticare il bestiame come ovini o bovini, per la cui custodia esso è fondamentale. Quando gli altri animali domestici non erano presenti, il cane faceva le loro veci, prestandosi al soddisfacimento delle diverse necessità umane: come animale da soma ha agevolato il movimento dei gruppi di cacciatori nomadi e come animale da guardia, sorvegliando gli accampamenti, ha migliorato le capacità di difesa. La domesticazione del cane costituisce, presumibilmente, il basamento su cui poggia il successivo sviluppo di tutte le forme di civiltà umana.
Il cane è un animale sociale
Il comportamento dei cani inselvatichiti, che più si avvicina a quello del lupo, non solo è complesso da interpretare a causa dell’influenza della selezione razziale realizzata dall’uomo, ma è anche verosimilmente differente da quello del cane “di famiglia”. Il cane “dei nostri giorni”, infatti, non vive in un branco di soli conspecifici in assenza dell’essere umano. La regola è il cosiddetto branco - famiglia, ossia un gruppo eterogeneo che condivide codici di comunicazione e segnali. La coevoluzione, che ancora oggi interessa uomo e cane, ha favorito considerevoli cambiamenti nel comportamento comunicativo, sociale e cooperativo del cane e nell’attaccamento all’uomo stesso. Le competenze del cane sembrano essere notevolmente più flessibili, addirittura simili a quelle umane, rispetto a quelle di altri animali filogeneticamente più vicini agli esseri umani, come ad esempio gli scimpanzé e i bonobo. Il cane, infatti, non solo possiede abilità “speciali” per la comprensione del comportamento sociale e comunicativo dell’uomo ma recenti studi hanno evidenziato che questo animale crea un legame di attaccamento nei confronti del proprietario. Tale legame è da considerarsi al pari dell’attaccamento del bambino nei confronti delle figure genitoriali: l’essere umano è, a tutti gli effetti, la figura di riferimento e di accudimento del cane.
Competere o cooperare?
La famiglia dei canidi annovera trentasette specie ancora oggi viventi il cui areale complessivo si estende su pressoché tutte le regioni zoogeografiche. Molte specie di animali sociali risolvono i conflitti stabilendo una gerarchia di dominanza che consente la convivenza su un unico territorio di un gruppo d’individui organizzati aggressivamente. La parola gerarchia indica un sistema di graduazione e di organizzazione basato su di una relazione asimmetrica: “x è il capo di y”. Il rango di dominanza (o status) si riferisce, invece, alla posizione relativa di ciascun individuo all’interno di una gerarchia: “alfa, beta, gamma e così via”. Fino a una decina di anni fa, gli studi sulla struttura sociale dei lupi sono stati realizzati osservando gli animali in cattività, più facili da monitorare, piuttosto che quelli nel loro ambiente naturale. In natura il branco di lupi che si osserva più comunemente è la famiglia, composta di una coppia riproduttrice e dalla sua progenie costituita da individui di età diverse. Gli studiosi hanno osservato che la “posizione alfa” non si riferisce al rango sociale ma al ruolo parentale: in altre parole, non è propria del più forte ma spetta di diritto al genitore! Le femmine sono principalmente addette a curare e difendere i cuccioli, i maschi impegnati nel procurare cibo e quando la preda catturata è abbastanza grande, tutti i membri del branco, indipendentemente dal rango, mangiano insieme mentre quando il cibo è scarso, i cuccioli hanno la precedenza. Ai giorni nostri gli studi sulla struttura sociale del cane che vive nel branco-famiglia, ossia un gruppo formato da cani ed esseri umani sono poco numerosi. Non esiste alcuna prova scientifica che il cane sia sempre pronto ad assumere il comando del gruppo o sia continuamente impegnato a stabilire una gerarchia di dominanza nei confronti del partner sociale, canino o umano che sia: un modello basato sulla gerarchia di dominanza definita come “priorità di accesso alle risorse” (il cibo, l’acqua, il luogo di riposo o di passaggio e così via) appare riduttivo. Secondo le ipotesi più recenti, la costruzione di un gruppo operativo è il modello sociale del cane: “stare insieme per agire”. Quando l'essere umano parla di posizione sociale, si chiede sostanzialmente chi comanda e chi obbedisce: la leadership è letta con una particolare configurazione, dove il leader non è chiamato a ingaggiare ma a ordinare. Per il cane, in primis, è necessario avere un ruolo nel gruppo ovvero una competenza, che definisce quando e in che termini sentirsi utile: un individuo che è chiamato a organizzare e a muovere il gruppo (il coordinatore), una spalla che segue sempre il partner umano e lo aiuta (l’affiancatore), un individuo che è chiamato ad agire in certe particolari situazioni o attività (lo specialista), un individuo che si aggrega al gruppo senza mettersi particolarmente in mostra (il gregario). Il ruolo si acquisisce e si attribuisce cosicché il cane tende a riconoscere ai membri del gruppo familiare ruoli completamente differenti. Nella dinamica della squadra oltre al ruolo è necessario identificare anche la posizione di rango cioè “l’allenatore” della squadra. È opportuno evidenziare che il rango non “si conquista” ma è riconosciuto dal gruppo poiché funzionale al benessere del sistema. Nel gruppo interspecifico, il proprietario – figura genitoriale, dovrebbe rivestire il rango superiore poiché individuo capace di coordinare le attività da svolgere, riconoscere le “specifiche capacità” del partner sociale non umano. Lo stile del leader deve, quindi, essere autorevole e non autoritario.
Punire o gratificare?
La punizione positiva, che consiste nella comparsa di uno stimolo in grado di provocare dolore, genera emozioni negative legate alla paura che, non solo ostacolano l’apprendimento, ma possono favorire la comparsa del comportamento di aggressione come unico mezzo di comunicazione da parte del cane! Secondo un recente studio, numerose tecniche basate sul confronto/ scontro come colpire o dare calci al cane per punire un comportamento indesiderato, gridare contro l’animale, forzare fisicamente il cane a lasciare un oggetto dalla bocca o bloccare l’animale a terra hanno indotto una risposta aggressiva in almeno un quarto dei cani su cui erano utilizzati. Non è possibile identificare una soglia sotto la quale la punizione positiva può essere dichiarata tollerabile: la violenza è sempre e comunque inaccettabile e lede il diritto del soggetto al rispetto della sua integrità fisica e psichica. Gli animali non sono solo esseri senzienti ma anche soggetti a pieno titolo e vanno rispettati come tali, evitando il ricorso alla violenza che non può essere considerata ai giorni nostri una forma di educazione ammissibile. “Le punizioni possono arrecare effetti fisici e psicologici negativi e insegnano ai bambini (ndr e agli animali) che la violenza è un metodo accettabile, idoneo per risolvere le situazioni di conflitto o per ottenere ciò che vogliamo. Picchiare un bambino (ndr o un cane) gli insegna l'uso della violenza come modo di risolvere i conflitti, diventando un significativo fattore di sviluppo di comportamenti violenti, sia nell'infanzia sia nella vita adulta. Al contrario, bandire ogni forma di violenza e promuovere una disciplina positiva basata e sull'autorevolezza, rinforza il ruolo del genitore e attenua le tensioni in ambito familiare” (tratto da wwwsavethechildren.it.). La struttura comunicativa del gruppo sociale in cui vive il cane, è appresa e riproposta da questo ultimo ai propri simili e agli esseri umani. Agire in modo vessatorio, inibitorio o coercitivo, quindi, comporta un aumento della motivazione competitiva, possessiva e difensiva dell’animale. Gratificare il cane con una carezza, utilizzando un tono di voce dolce, somministrando ogni tanto un bocconcino prelibato, invece, favorisce l’apprendimento e la nascita di una relazione equilibrata all’interno del gruppo famiglia. Il proprietario – figura genitoriale dovrebbe, quindi, mettere in atto uno stile autorevole. Tale forma educativa non comporta necessariamente l’assenza di regole ma ricerca l’equilibrio tra permissivismo e autoritarismo, stabilendo poche norme fondamentali che sono spiegate ai membri del gruppo e con essi concordate.