Clicca sulla freccetta a destra per visualizzare il testo di ogni articolo
Clicca sulla freccetta a destra per visualizzare il testo di ogni articolo
Dott.ssa Eva Ricci
Medica Veterinaria albo 414-LU,
Medica Veterinaria Esperta in comportamento animale FNOVI,
Perfezionata in terapia del dolore e cure palliative negli animali da compagnia,
Vicepresidente VIVA,
Neurobiologa, Master in Etologia degli animali d'affezione
ricci.eva@hotmail.com
E’ stato da poco pubblicato su Scientific Reports un interessante studio* che esplora come l’aver vissuto esperienze avverse (“early life adversity”) nel periodo giovanile influenzi la manifestazione di comportamenti di aggressione e di comportamenti indicatori di paura nei cani. E’ stato anche indagato il possibile effetto della razza/tipologia.
Di seguito trovate un riassunto della ricerca e alcune personali riflessioni.
I ricercatori hanno raccolto dati relativi a 4497 cani, attraverso la somministrazione di questionari ai proprietari, con domande relative ai dati anagrafici del cane e alla storia, comprese le “early life adversity”, in termini di presenza o assenza di diverse tipologie di trauma.
Inoltre, è stato utilizzato il questionario C-BARQ (Canine Behavior Research Questionnaire) per descrivere e quantificare il comportamento dei cani e la tendenza a manifestare determinati comportamenti. In particolare, sono state considerate le domande e le risposte relative ai comportamenti di aggressione e i comportamenti indicatori di paura.
E’ interessante notare che, tra le avversità, gli autori hanno inserito:
punizioni fisiche e correzioni, come rigirare il cane sulla schiena (alpha-roll), prendere la bocca del cane e tenerla chiusa;
separazione o mancanza della madre;
abusi fisici, ad esempio percosse, calci;
essere attaccato da un cane o da altri animali;
essere stato spaventato intensamente da una persona o da situazioni che coinvolgevano persone;
aver avuto gravi ferite fisiche o aver percepito la minaccia di un grave danno fisico, come essere stato investito, ustionato o rischio di annegamento;
essere stato a catena per tempi lunghi.
I dati sono stati analizzati statisticamente per correlare i fattori avversità – comportamento – razza, distinguendo tra traumi vissuti prima e dopo i 6 mesi di età.
Complessivamente, l’analisi ha rilevato che:
i cani che hanno sperimentato eventi avversi mostrano livelli maggiori di paura e aggressività rispetto a quelli senza esperienze avverse;
i cani che hanno affrontato avversità nei primi 6 mesi di vita manifestano più comportamenti di paura e comportamenti aggressivi rispetto ai cani che le hanno vissute dopo i 6 mesi di età.
i soggetti che hanno vissuto più tipologie di traumi manifestano maggiori livelli di paura e aggressività;
alcune razze mostrano maggiore vulnerabilità alle avversità precoci, ad esempio:
aumento di paura correlato a traumi precoci: Airedale Terrier, American Eskimo Dog, Golden Retriever
aumento di aggressività correlato a traumi precoci: American Eskimo Dog, Siberian Husky, American Leopard Hound
mentre in altre razze (es. Labrador Retriever) le differenze tra soggetti che hanno sperimentato avversità e soggetti che non le hanno sperimentate non sono significative.
Uno dei limiti di questo studio è il fatto che i dati sono basati su autovalutazioni dei proprietari, quindi soggettivi e potenzialmente imprecisi. Inoltre, al momento dell’analisi dei dati, le varie tipologie di avversità sono state considerate in modo cumulativo.
Tuttavia, l’importanza di questo studio è rilevante. Conferma infatti che esperienze negative precoci hanno effetti duraturi sul comportamento (e quindi, in realtà, sulla mente) dei cani, analoghi a quanto osservato in esseri umani e altre specie. Alcune razze (es. selezionate per la guardia o la caccia) potrebbero essere più sensibili agli stress precoci, suggerendo un’interazione tra genetica e ambiente.
Mi preme sottolineare anche che in questa ricerca gli autori si sono focalizzati non solo su traumi “estremi”, ma anche su situazioni spesso invece sottovalutate nel loro impatto sulla psiche e sul profilo comportamentale, come utilizzo di coercizione nell’addestramento, essere stato separato precocemente dalla madre o essere stato a catena.
Per chi opera nel campo della medicina comportamentale, dell’educazione della cittadinanza e dell’educazione e istruzione cinofila, questi risultati rappresentano un importante sostegno scientifico agli approcci basati sul rispetto e che rifiutano ogni forma di coercizione o maltrattamento.
Oltre a offrire indicazioni utili per orientare le pratiche di allevamento e il trattamento dei cani con un passato traumatico, come espresso dagli autori, le evidenze emerse rafforzano la necessità di condannare con decisione l’uso di metodi violenti o punitivi nell’addestramento e nella gestione dei cani, da parte sia dei proprietari sia dei professionisti del settore.
In quanto professionisti dedicati alla tutela della salute animale (e umana), i Medici Veterinari hanno il compito di guidare ed educare i proprietari verso un approccio corretto e rispettoso nei confronti del proprio cane.
Spetta loro promuovere metodi di gestione, comunicazione ed educazione che prevengano qualsiasi forma di trauma psico-fisico e indirizzare i proprietari verso le figure professionali più qualificate e adeguate alle esigenze del singolo animale.
*Espinosa et al., 2025. Influence of early life adversity and breed on aggression and fear in dogs. Scientific Reports 15:32590
Immagine tratta dal paper citato
Dott. Franco Fassola
Medico Veterinario Esperto in comportamento animale ed Esperto in IAA,
Tanatologo,
Master in Counselor sistemico-relazionale,
Consigliere VIVA
fassola@medicinacomportamentale.com
Gli animali che vivono nella famiglia umana sono per i giovani uno “strumento” di confronto, di crescita e di allenamento per le emozioni e per la relazione.
Il rispetto per il cane o il gatto, il coniglio, o per qualsiasi altro pet, fa comprendere ai giovani e agli adulti che prima di agire (parlare, guardare, muoversi), quando siamo in relazione e comunichiamo, dobbiamo pensare quanto il nostro agire e le nostre esperienze possano influire sulle emozioni di chi ascolta e osserva anche solo da mero spettatore.
Parlo di “strumento”, mettendo questa parola tra virgolette, perché non considero gli animali che vivono in famiglia delle cose da usare, ma degli esseri viventi che ci aiutano a crescere, quindi da rispettare ad ogni livello.
Quindi, sarebbe più che giusto vietare di girare scene cruente verso gli animali, anche se realizzate senza coinvolgere gli animali, perché sono prive di senso e sono offensive verso di creature che non possono opporsi perché non vedranno mai queste immagini e soprattutto perché non sono in grado di dirci che è crudeltà e maltrattamento anche solo l’averle immaginate.
Gli animali sono sempre più tutelati e riconosciuti come esseri senzienti che vanno rispettati non solo evitando loro sofferenze fisiche e psicologiche, ma anche prevenendo i comportamenti che potrebbero indurre noi umani a tollerare maltrattamenti nei loro confronti.
Il Decreto attuativo n. 279 del 30 gennaio 2025, emesso dal DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ CULTURALI DIREZIONE GENERALE CINEMA E AUDIOVISIVO del Ministero della Cultura.
Il Decreto attuativo n. 279 del 30 gennaio 2025, emesso dal DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ CULTURALI DIREZIONE GENERALE CINEMA E AUDIOVISIVO del Ministero della Cultura, va in questa direzione e definisce le nuove linee guide relative alle immagini contenute nei film o nelle serie tv che contemplano scene di violenza esplicita sugli animali, obbligando i produttori di questi ad applicare l’alert: “vietato ai minori di 6 o 10 anni” o “ai minori di 14 o 18 anni”.
Il regolamento riguarda anche quelle scene che contengono discorsi che incitano all’odio verso altre specie. Infatti fa riferimento: “a tutti i tipi di violenza, da quella fisica a quella psicologica, inclusi i casi di stupro e molestie sessuali, nonché i maltrattamenti nei confronti degli animali e dell’ambiente, con riferimento non solo alla violenza fisica ma anche a forme di disprezzo, umiliazione e non rispetto dei bisogni etologici”.
Per chi – come me – è poco avvezzo a simili forme di limitazione fa effetto, in modo particolare, leggere che questo divieto è incluso nella stessa frase dove si fa riferimento a casi di stupro e molestie sessuali. L’affiancare queste due situazioni sottolinea come si riconosca che le immagini con atti di violenza verso gli animali possano segnare chi li guarda nonché indurre gli spettatori al loro compimento.
Quindi ben venga una norma che limiti le immagini con violenza fisica e psichica sugli animali essendo un riconoscimento di quando sia importante per una società che vuole definirsi civile il rispetto verso l’alterità, verso gli altri esseri viventi, non solo verso gli animali domestici, ma verso tutti gli animali con i quali condividiamo la vita sulla terra.
Cosa dice l’ENPA
Come sottolinea l’ENPA “Il riconoscimento di questi criteri è un passo avanti fondamentale per la tutela degli animali e l’educazione delle nuove generazioni -. Le richieste di riconoscimento della pericolosità sociale sono passate dal 5% del 2023 al 19,4% del 2024.
Un dato che dimostra come i maltrattamenti sugli animali non siano atti isolati, ma indicatori di una violenza sempre più crudele e che spesso coinvolge proprio i minori. Secondo le denunce presentate alla Protezione animali, il 5% dei reati è stato commesso da minori, con episodi di particolare efferatezza. Le specie più colpite sono i cani, nel 44,83% dei casi, e i gatti, nel 20,69%”.
Anche alla luce di questi dati, ripeto, ben venga una norma che limiti la violenza in tutte le forme di comunicazione: oggi la realtà è complessa, i mezzi tecnologici danno a tutti accesso alla fruizione di contenuti diversi, quindi è importante porre un filtro.
L’alterità animale se approcciata in modo corretto è arricchente e in particolare aiuta i giovani a confrontarsi con comportamenti diversi dai nostri, con desideri e necessità di un essere vivente che cerca in noi umani un riferimento affettivo.
Articolo originariamente pubblicato su La Stampa 23/02/2025
Facciamo il punto attraverso la lettura di fonti e pareri scientifici
Dott.ssa Eva Ricci
Medica Veterinaria albo 414-LU,
Medica Veterinaria Esperta in comportamento animale FNOVI,
Perfezionata in terapia del dolore e cure palliative negli animali da compagnia
Vicepresidente VIVA,
Neurobiologa, Master in Etologia degli animali d'affezione
ricci.eva@hotmail.com
La violenza in cinofilia
Nel contesto cinofilo, punizioni fisiche, come calci, strattoni, colpi con il guinzaglio e strumenti dolorosi (collari a punte, elettrici, a strozzo) vengono ancora impiegati da professionisti e proprietari. Questi metodi tuttavia causano dolore, paura e stress, riducendo il benessere psico-fisico e ostacolando l’apprendimento e la relazione cane-persona.
La coercizione include anche restrizioni meno visibili, come l’inibizione sistematica di comportamenti naturali, quali annusare durante la passeggiata, esplorare, esprimere le proprie motivazioni o il proprio disagio.
Perché la violenza è ancora accettata in cinofilia
Se volessimo parlare in termini molto generali dovremmo in realtà chiederci “perché nel mondo esiste ancora la violenza”? Argomento assai complesso…
Il ricorso a pratiche coercitive deriva da concezioni gerarchiche superate (“l’uomo comanda, il cane obbedisce”) e dall’idea, distorta, che il cane emetta comportamenti “sbagliati” perché dominante [1]. I risultati apparenti — ad esempio la cessazione di un comportamento indesiderato — sono in realtà espressione di inibizione e paura, non di apprendimento autentico.
La letteratura scientifica
In letteratura esistono vari papers ed editoriali relativi a questo argomento. Alcuni sono recenti, altri meno, questo testimonia come già da tempo siano sorti dubbi riguardo al rapporto tra coercizione e rispetto del benessere animale.
Karen Overall, Medico Veterinario comportamentalista di fama internazionale, spiega che l'utilizzo di correzioni attraverso strumenti non serve per risolvere i problemi comportamentali degli animali, ma determina uno stato di paura e impotenza appresa, che può permanere nel tempo [2].
Per Overall, l’utilizzo di tali strumenti sarebbe estremamente dannoso in cani con patologie del comportamento.
Violenza e benessere
L’impiego di metodi e strumenti coercitivi è incompatibile con il rispetto del benessere psico-fisico dell’animale. Inoltre, tali pratiche possono determinare un peggioramento comportamentale, incluso un incremento dell’aggressività, che rende il cane meno gestibile e potenzialmente pericoloso.
L’adozione di strumenti coercitivi da parte dei proprietari rischia di minare la relazione tra persona e cane.
Danni fisici e psicologici legati a metodi e strumenti coercitivi e approcci alternativi
Per quanto riguarda i danni fisici, vi sono case reports di pazienti danneggiati dall’utilizzo del collare a strozzo. Oggigiorno non è possibile costruire protocolli sperimentali sottoponendo appositamente i cani a punizioni fisiche. Studi del genere non sarebbero accettati dai comitati etici delle università e dei centri di ricerca.
Recentemente è stato però pubblicato uno studio che ha indagato gli effetti dell’addestramento condotto con diverse modalità sul benessere animale. La ricerca è stata effettuata osservando sessioni di training reali in diversi centri cinofili. I risultati mostrano che i metodi punitivi riducono il benessere sia a breve che a lungo termine, generando stress, aumento del cortisolo e maggiore tendenza al pessimismo cognitivo. È emersa inoltre una relazione proporzionale: più alta è la frequenza degli stimoli avversativi, maggiore è l’impatto negativo sul benessere animale [3].
L'alternativa ai metodi coercitivi esiste, ed è l'utilizzo di rinforzi positivi e di un approccio cognitivo-relazionale.
Evidenze sperimentali hanno dimostrato che i cani da lavoro ottengono prestazioni superiori quando l’addestramento si basa su rinforzi positivi, rispetto a quanto avviene con l’impiego di punizioni. Parallelamente, l’uso di metodi coercitivi risulta correlato all’insorgenza di problematiche comportamentali e disagi emotivi, tra cui ansia, stress, aggressività e eliminazioni inappropriate. Oltre ai rinforzi positivi di tipo “materiale” (es. gioco, cibo), è fondamentale favorire lo sviluppo di una relazione solida tra cane e proprietario, il quale deve costituire una base sicura per l’animale.
Rifiutare i metodi violenti ed impositivi è fondamentale
In relazione a ciò che ci mostra la letteratura, l'utilizzo di metodi e strumenti che causano dolore, stress e paura non è più accettabile. Non sono rispettosi del benessere animale, rischiano di peggiorare problemi già esistenti e di rovinare la relazione tra l'animale e la persona.
Solitamente, ciò che viene perseguito attraverso metodi coercitivi è l’estinzione del comportamento, non la comprensione delle motivazioni e degli stati emotivi sottostanti.
“Strumenti” e “metodi”
Ritengo importante distinguere tra “metodi” e “strumenti”, in quanto si tratta di aspetti diversi. Tuttavia, nella pratica si osserva frequentemente che chi adotta approcci coercitivi tende anche a servirsi di specifici strumenti, e viceversa.
Un esempio è rappresentato dal collare a strozzo, strutturato come un cappio: la sua funzione è quella di stringere il collo dell’animale, inducendo inibizione attraverso sensazioni di soffocamento o timore di restrizione, che possono generare panico indipendentemente dalla conformazione fisica del collo. Anche in assenza di strattoni violenti, tale dispositivo comporta comunque disagio e fastidio.
Va sottolineato che l’apprendimento può essere favorito senza l’impiego di strumenti coercitivi né contatti fisici diretti, ad eccezione del guinzaglio in spazi pubblici e della museruola nei casi previsti dalle normative vigenti.
Violenza chiama violenza
È noto che la violenza genera altra violenza, tanto nell’essere umano quanto negli animali non umani. Sebbene cane e uomo appartengano a specie differenti — differenze che non vanno mai trascurate — esistono notevoli analogie a livello neurobiologico: in particolare, i circuiti cerebrali coinvolti nell’elaborazione delle emozioni risultano in larga misura sovrapponibili.
In conclusione
Sono il rispetto dell’individuo, delle sue emozioni, dei suoi bisogni e il rifiuto di ogni violenza che funzionano - davvero - e rendono migliore la vita degli animali e delle persone che li accompagnano.
Fonti citate (possibile richiedere bibliografia integrativa)
[1] Bradshaw et al. 2009. Dominance in domestic dogs-useful construct or bad habit? Journal of Veterinary Behavior 4, 135-144.
[2] Overall 2007. Considerations for shock and ‘training’ collars: Concerns from and for the working dog community. Journal of Veterinary Behavior 2, 103-107.
[3] de Castro et al., 2019. Does training method matter?: Evidence for the negative impact of aversive-based methods on companion dog welfare. PLOS ONE 15(12): e0225023
L'IMPORTANZA DELLE PAROLE E DELLE ETICHETTE
Come svelare la brutalità edulcorata dalle parole persuasive di leader interessati
Dott.ssa Raffaella Tamagnone
Medico veterinario albo AL 550,
Esperto in comportamento animale,
Esperto in IAA (interventi assistiti da animali),
Esperto in nutrizione
raffaellatamagnone@gmail.com
Molti studiosi si sono occupati di quanto le parole siano importanti per orientare l’interpretazione della realtà:
◦ Albert Bandura sottolinea che l’efficacia dell’individuo è influenzata dalle descrizioni e dalle etichette che si danno alle proprie capacità (auto-efficacia).
◦ Humberto Maturana e Francisco Varela sostengono che la realtà è co-costruita attraverso le nostre descrizioni e riferimenti linguistici; non "vediamo" la realtà come essa è, ma la "costruiamo" attraverso la nostra esperienza e il nostro linguaggio. I sistemi viventi sono agenti attivi che non solo si adattano all'ambiente, ma creano attivamente il proprio significato e la propria realtà.
◦ Il "modello di riconoscimento delle situazioni" di Gioia, Thomas e Bartlett sottolinea che il modo in cui classifichiamo e definiamo un evento o un problema (l'etichettatura) ne determina la comprensione (l'interpretazione) e la risposta che ne consegue (l'azione), quindi le parole guidano azioni future.
In una società attuale in cui abbiamo una infinita e continua offerta di informazioni è preoccupante sapere che le parole hanno potere sui pensieri, possono plagiare l’opinione pubblica e guidare le azioni. Chiunque si può proporre come leader (influencer), influenzare l’opinione dando nomi e etichette alla realtà, orientare la percezione di chi lo segue verso un’interpretazione positiva delle sue azioni.
Esempi di etichette edulcorate che riguardano gli animali
◦ Di fianco ad un approccio al cane che ha l’obiettivo di favorire l’inclusione e sviluppare le doti individuali garantendo comunque la sicurezza, persiste in alcune frange della cinofilia la tendenza a dare importanza solo al risultato desiderato dalle persone, senza tenere conto delle caratteristiche del cane, anche a costo di utilizzare metodi e strumenti finalizzati al controllo anziché a migliorare la qualità della vita. Per sostenere tali obiettivi alcuni personaggi ricorrono all’utilizzo di un linguaggio finalizzato a edulcorare sistemi e strumenti che non sarebbero accettabili se percepiti come atti a incutere dolore, paura, controllo.
• Il nostro invito alla responsabilità
◦ Riconoscere che molte informazioni sono opinioni o interpretazioni, non verità assolute.
◦ L’informazione che riceviamo non è l’unica e non è l’unica corretta, non siamo spugne che assorbono, ma attivi nel fare nostra l’idea di un altro. Avere un pensiero critico e autonomo deve essere il nostro obiettivo.
◦ Sapere di inserirsi in un sistema unico e diverso dagli altri, ciò che è perfetto per un altro può non esserlo per noi.
◦ Assumersi la responsabilità di scegliere.
◦ Cercare sempre di aggiornarsi, il mondo scientifico è molto propositivo e si trovano facilmente informazioni attuali
Dott.ssa Sabrina Giussani
Medico Veterinario Esperto in Medicina del Comportamento Animale,
Diplomato Medico Veterinario Comportamentalista ENVF,
Master In Etologia applicata e Benessere animale,
Medico Veterinario Esperto in IAA,
Segretaria VIVA
sabrinagiussani@yahoo.it
Il cane non è un lupo
Il cane (Canis lupus familiaris) è la prima specie animale addomesticata dagli esseri umani. Ai giorni nostri i dati genetici derivati dallo studio del DNA dei cani e dei lupi hanno dimostrato che tutti i cani derivano dal lupo (Canis lupus L.). La domesticazione è avvenuta ripetutamente dagli inizi e nel corso della storia umana in diverse aree geografiche. I reperti fossili hanno stabilito che il processo è avvenuto dai 33.000 ai 12.000 anni fa: a Oberkassel in Germania è stato ritrovato un teschio di un cane datato con il metodo del carbonio 12.000 anni fa circa e in una caverna della Siberia un altro datato sempre con il metodo del carbonio da 14.000 a 33.000 anni fa circa. Le ricerche genetico-molecolari che si basano sullo studio del DNA mitocondriale, invece, spostano all’indietro l’epoca di domesticazione tra 135.000 e 76.000. Gli studi realizzati non hanno però fatto chiarezza sulle dinamiche dell’incontro: è stato l’uomo ad avvicinarsi al lupo o viceversa? Il semplice incontro, inoltre, non è sufficiente per spiegare la domesticazione del cane: è necessario che si realizzi un processo di adozione per costruire una relazione! Il contributo del cane è stato fondamentale: insieme all’introduzione dell’arco ha reso più proficua la caccia, ha reso possibile addomesticare il bestiame come ovini o bovini, per la cui custodia esso è fondamentale. Quando gli altri animali domestici non erano presenti, il cane faceva le loro veci, prestandosi al soddisfacimento delle diverse necessità umane: come animale da soma ha agevolato il movimento dei gruppi di cacciatori nomadi e come animale da guardia, sorvegliando gli accampamenti, ha migliorato le capacità di difesa. La domesticazione del cane costituisce, presumibilmente, il basamento su cui poggia il successivo sviluppo di tutte le forme di civiltà umana.
Il cane è un animale sociale
Il comportamento dei cani inselvatichiti, che più si avvicina a quello del lupo, non solo è complesso da interpretare a causa dell’influenza della selezione razziale realizzata dall’uomo, ma è anche verosimilmente differente da quello del cane “di famiglia”. Il cane “dei nostri giorni”, infatti, non vive in un branco di soli conspecifici in assenza dell’essere umano. La regola è il cosiddetto branco - famiglia, ossia un gruppo eterogeneo che condivide codici di comunicazione e segnali. La coevoluzione, che ancora oggi interessa uomo e cane, ha favorito considerevoli cambiamenti nel comportamento comunicativo, sociale e cooperativo del cane e nell’attaccamento all’uomo stesso. Le competenze del cane sembrano essere notevolmente più flessibili, addirittura simili a quelle umane, rispetto a quelle di altri animali filogeneticamente più vicini agli esseri umani, come ad esempio gli scimpanzé e i bonobo. Il cane, infatti, non solo possiede abilità “speciali” per la comprensione del comportamento sociale e comunicativo dell’uomo ma recenti studi hanno evidenziato che questo animale crea un legame di attaccamento nei confronti del proprietario. Tale legame è da considerarsi al pari dell’attaccamento del bambino nei confronti delle figure genitoriali: l’essere umano è, a tutti gli effetti, la figura di riferimento e di accudimento del cane.
Competere o cooperare?
La famiglia dei canidi annovera trentasette specie ancora oggi viventi il cui areale complessivo si estende su pressoché tutte le regioni zoogeografiche. Molte specie di animali sociali risolvono i conflitti stabilendo una gerarchia di dominanza che consente la convivenza su un unico territorio di un gruppo d’individui organizzati aggressivamente. La parola gerarchia indica un sistema di graduazione e di organizzazione basato su di una relazione asimmetrica: “x è il capo di y”. Il rango di dominanza (o status) si riferisce, invece, alla posizione relativa di ciascun individuo all’interno di una gerarchia: “alfa, beta, gamma e così via”. Fino a una decina di anni fa, gli studi sulla struttura sociale dei lupi sono stati realizzati osservando gli animali in cattività, più facili da monitorare, piuttosto che quelli nel loro ambiente naturale. In natura il branco di lupi che si osserva più comunemente è la famiglia, composta di una coppia riproduttrice e dalla sua progenie costituita da individui di età diverse. Gli studiosi hanno osservato che la “posizione alfa” non si riferisce al rango sociale ma al ruolo parentale: in altre parole, non è propria del più forte ma spetta di diritto al genitore! Le femmine sono principalmente addette a curare e difendere i cuccioli, i maschi impegnati nel procurare cibo e quando la preda catturata è abbastanza grande, tutti i membri del branco, indipendentemente dal rango, mangiano insieme mentre quando il cibo è scarso, i cuccioli hanno la precedenza. Ai giorni nostri gli studi sulla struttura sociale del cane che vive nel branco-famiglia, ossia un gruppo formato da cani ed esseri umani sono poco numerosi. Non esiste alcuna prova scientifica che il cane sia sempre pronto ad assumere il comando del gruppo o sia continuamente impegnato a stabilire una gerarchia di dominanza nei confronti del partner sociale, canino o umano che sia: un modello basato sulla gerarchia di dominanza definita come “priorità di accesso alle risorse” (il cibo, l’acqua, il luogo di riposo o di passaggio e così via) appare riduttivo. Secondo le ipotesi più recenti, la costruzione di un gruppo operativo è il modello sociale del cane: “stare insieme per agire”. Quando l'essere umano parla di posizione sociale, si chiede sostanzialmente chi comanda e chi obbedisce: la leadership è letta con una particolare configurazione, dove il leader non è chiamato a ingaggiare ma a ordinare. Per il cane, in primis, è necessario avere un ruolo nel gruppo ovvero una competenza, che definisce quando e in che termini sentirsi utile: un individuo che è chiamato a organizzare e a muovere il gruppo (il coordinatore), una spalla che segue sempre il partner umano e lo aiuta (l’affiancatore), un individuo che è chiamato ad agire in certe particolari situazioni o attività (lo specialista), un individuo che si aggrega al gruppo senza mettersi particolarmente in mostra (il gregario). Il ruolo si acquisisce e si attribuisce cosicché il cane tende a riconoscere ai membri del gruppo familiare ruoli completamente differenti. Nella dinamica della squadra oltre al ruolo è necessario identificare anche la posizione di rango cioè “l’allenatore” della squadra. È opportuno evidenziare che il rango non “si conquista” ma è riconosciuto dal gruppo poiché funzionale al benessere del sistema. Nel gruppo interspecifico, il proprietario – figura genitoriale, dovrebbe rivestire il rango superiore poiché individuo capace di coordinare le attività da svolgere, riconoscere le “specifiche capacità” del partner sociale non umano. Lo stile del leader deve, quindi, essere autorevole e non autoritario.
Punire o gratificare?
La punizione positiva, che consiste nella comparsa di uno stimolo in grado di provocare dolore, genera emozioni negative legate alla paura che, non solo ostacolano l’apprendimento, ma possono favorire la comparsa del comportamento di aggressione come unico mezzo di comunicazione da parte del cane! Secondo un recente studio, numerose tecniche basate sul confronto/ scontro come colpire o dare calci al cane per punire un comportamento indesiderato, gridare contro l’animale, forzare fisicamente il cane a lasciare un oggetto dalla bocca o bloccare l’animale a terra hanno indotto una risposta aggressiva in almeno un quarto dei cani su cui erano utilizzati. Non è possibile identificare una soglia sotto la quale la punizione positiva può essere dichiarata tollerabile: la violenza è sempre e comunque inaccettabile e lede il diritto del soggetto al rispetto della sua integrità fisica e psichica. Gli animali non sono solo esseri senzienti ma anche soggetti a pieno titolo e vanno rispettati come tali, evitando il ricorso alla violenza che non può essere considerata ai giorni nostri una forma di educazione ammissibile. “Le punizioni possono arrecare effetti fisici e psicologici negativi e insegnano ai bambini (ndr e agli animali) che la violenza è un metodo accettabile, idoneo per risolvere le situazioni di conflitto o per ottenere ciò che vogliamo. Picchiare un bambino (ndr o un cane) gli insegna l'uso della violenza come modo di risolvere i conflitti, diventando un significativo fattore di sviluppo di comportamenti violenti, sia nell'infanzia sia nella vita adulta. Al contrario, bandire ogni forma di violenza e promuovere una disciplina positiva basata e sull'autorevolezza, rinforza il ruolo del genitore e attenua le tensioni in ambito familiare” (tratto da wwwsavethechildren.it.). La struttura comunicativa del gruppo sociale in cui vive il cane, è appresa e riproposta da questo ultimo ai propri simili e agli esseri umani. Agire in modo vessatorio, inibitorio o coercitivo, quindi, comporta un aumento della motivazione competitiva, possessiva e difensiva dell’animale. Gratificare il cane con una carezza, utilizzando un tono di voce dolce, somministrando ogni tanto un bocconcino prelibato, invece, favorisce l’apprendimento e la nascita di una relazione equilibrata all’interno del gruppo famiglia. Il proprietario – figura genitoriale dovrebbe, quindi, mettere in atto uno stile autorevole. Tale forma educativa non comporta necessariamente l’assenza di regole ma ricerca l’equilibrio tra permissivismo e autoritarismo, stabilendo poche norme fondamentali che sono spiegate ai membri del gruppo e con essi concordate.